Lungo la sponda destra del fiume Tagliamento, di fronte specularmente al centro storico di Latisana, esiste, immersa nella maestosa vegetazione di un parco secolare, Villa Mocenigo – ora Biaggini-Ivancich, anzi, ciò che rimane dell’intero complesso dopo i bombardamenti e le devastazioni dell’ultimo conflitto mondiale, aggravati poi dal terremoto del 1976. Sarebbe potuta essere la più prestigiosa testimonianza architettonica di San Michele al Tagliamento e fra le maggiori di tutto il Veneto Orientale.
Il complesso è sorto in prossimità di un porto fluviale sul Tagliamento, verso la fine del XVI secolo, per volere dei Mocenigo, famiglia nobile veneziana, in occasione del matrimonio fra Marcantonio Mocenigo e Bianca Vendramin, di famiglia patrizia con possedimenti a Latisana, il cui palazzo si trovava proprio dalla parte opposta del fiume. Alla villa padronale, inizialmente costruita per ospitare i Mocenigo, furono aggiunte successivamente altre costruzioni erette nel parco, per ospitare gli attrezzi e il raccolto dei campi, oltre ai bachi da seta, nonché il personale addetto ai diversi servizi, alla manutenzione e all’amministrazione dei terreni agricoli della famiglia. Le famiglie patrizie avevano compreso l’importanza dell’agricoltura, come compensazione del graduale declino dei commerci marittimi.
Nel 1870 la villa venne acquistata, con la relativa proprietà, dal padovano Vincenzo Biaggini, che con le sue capacità imprenditoriali rivoluzionò le tecniche agricole con nuovi sistemi pionieristici, passione trasmessa anche al figlio Vittorio che portò la corrente elettrica nel comune, grazie all’installazione della centrale idroelettrica presso la cartiera di Villanova. Successivamente la villa passò agli attuali proprietari, gli Ivancich, grazie al matrimonio fra Elina, figlia di Vincenzo, e Giacomo Ivancich. Nella seconda metà del secolo scorso, con la famiglia Ivancich, notabile famiglia di possidenti e diplomatici residenti a Venezia, discendenti da armatori provenienti da Lussinpiccolo, la villa diventa un polo culturale molto importante, ospitando scrittori di rilievo internazionale, quali Ezra Pound ed Ernest Hemingway, che scrisse del fiume Tagliamento e fu ispirato dalle sue frequentazioni con Adriana Ivancich.
Durante la Prima Guerra Mondiale l’edificio fu trasformato in ospedale da campo, durante il secondo conflitto invece la villa subì gravissimi danni a causa dei numerosi bombardamenti susseguitisi tra il 1944 al 1945, che rasero al suolo l’intero centro abitato.
La dimora signorile veniva chiamata Il Palazzo Rosso per il suo colore, poi cambiato in seguito all’applicazione del marmorino bianco. La villa si sviluppava in tre piani con forma quadrangolare, secondo lo schema di molti palazzi veneziani, aveva due entrate, una dal lato del fiume (e successivamente della strada) sormontata da una trifora con terrazzino e l’altra sul lato del giardino. L’edificio era di un’altezza superiore alle pur grandiose barchesse costruite nel ‘600; esso rientrava nelle forme stilistiche consuete dell’architettura cinquecentesca veneziana, forme che poi continuarono nei due secoli successivi. Alcuni elementi della costruzione permettono di datare la struttura agli ultimi decenni del cinquecento. Nel XIX secolo la villa era stata trascurata, ma venne rimodernata per volere di Vincenzo Biaggini al momento dell’acquisto. Della villa-palazzo, dopo i bombardamenti, non rimasero che macerie.
Le due barchesse si fronteggiano speculari e maestose, pur in rovina. Il loro impianto testimonia un programma compositivo grandioso, essendo state concepite come quinte prospettiche per incorniciare la villa, ma diversamente dalle tante ville venete, esse non sono adiacenti all’edificio principale, formando un collegamento solo ideale. Costruite verso la fine del XVII secolo, le barchesse erano diventate necessarie per la trasformazione del complesso in dimora-azienda. Le loro fronti sono scandite da un ritmo fortemente ritmato di sette archi su larghi pilastri rettangolari, irrobustiti da semicolonne d’ordine tuscanico-dorico che sostengono un’alta fascia. Eleganti finestre ellittiche si aprono in corrispondenza di ogni arco, la cornice è impreziosita dalla frangia di dentelli che danno raffinatezza all’architettura severa e possente, mentre la parte più in alto è arricchita da mensole con splendidi testoni grotteschi di animali .
Le barchesse, seppur manca una documentazione archivistica, secondo una tradizione plurisecolare sono attribuite all’architetto Baldassare Longhena. Il Soprintendente Professor Arch. G. Gabrielli Pross non esitò nel 1983 a definirle , in un suo documento ufficiale, come “opere monumentali del Longhena, da considerare fra le maggiori opere di interesse storico artistico della Provincia di Venezia”.
La cappella gentilizia ha pianta quadrata e col suo stile si inserisce perfettamente con la facciata della barchessa adiacente, dimostrando quindi di condividerne l’autore. L’interno è articolato con delle nicchie ai lati che conferiscono movimento alle pareti ed un elegante altare posto di fronte alla porta d’ingresso; l’altare ospitava la pala raffigurante “Il transito di San Giuseppe” del Guardi, ora al Museo di Berlino.
Separato da un grande intervallo dalle barchesse e appena fuori dal parco cintato sorge un imponente corpo di fabbrica denominato il “granaio”, nome derivato dalle funzioni puramente pratiche che svolgeva, costruito più tardi, nel secolo XIX, per coadiuvare le barchesse ormai insufficienti a contenere i raccolti, voluto da Vittorio Biaggini. La composizione dell’edificio dimostra una volontà di integrazione col complesso, con elementi quali lesene, marcapiani, marcasoglie, per dare nobiltà alle forme, riprendendo inoltre le finestrelle ellittiche presenti nelle barchesse.
Una cancellata immette dal parco in un lungo e suggestivo viale. Il parco secolare è molto grande ed ospita numerose varietà di piante, le statue in pietra d’Istria rimaste sono otto, rappresentano le quattro stagioni e le virtù. L’ingresso era rivolto verso il porto privato sul fiume, all’epoca ancora utilizzato per il trasporto e la navigazione verso il mare. Il muro di cinta che circonda il giardino sul lato strada è stato ricostruito per sostituire le cancellate in ferro battuto requisite durante l’ultima guerra. Il parco ha alcune caratteristiche di un giardino all’inglese, con una commistione di cespugli e piante ad alto fusto. In fondo al giardino era stato installato un campo da tennis in cemento, (usato anche come aia nella stagione del raccolto) di fronte all’essiccatoio del tabacco, da cui è stata ricavata dopo la guerra una abitazione per la famiglia.
I componenti delle famiglie Biaggini e Ivancich hanno intrecciato le loro storie con quelle di romanzieri e poeti di fama internazionale, come nel caso di Yole Biaggini, sposata con il senatore e sindaco di Padova Vittorio Moschini, reputata una delle tre donne più belle d’Italia accanto ad Anna Morosini e alla Florio di Palermo. La sua amicizia con lo scrittore Antonio Fogazzaro era cosa nota: Yole gli ispirò il personaggio di Jeanne che troviamo in Piccolo mondo moderno e ne’ Il santo. Si scrissero numerose lettere, da poco pubblicate in una raccolta. In particolare Fogazzaro la ricordava “buona, franca, leale e generosa”.
La sorella Noemi Biaggini stringeva più tardi amicizia con Gabriele d’Annunzio. Da lui soprannominata “Graziana di Soavia”, fra loro ci furono scambi epistolari e doni di profumi. Siamo negli anni della Prima Guerra Mondiale, quando la villa Biaggini era stata requisita dagli austriaci per farne un ospedale militare. Il “Vate” frequentò assiduamente Noemi nel suo palazzo di Venezia, e successivamente fu ospite anche a Latisana nella villa di Piero Gaspari, marito di Noemi.
Emma Ivancich, figlia di Giacomo ed Elina Biaggini, frequentò maestri illustri quali Malipiero, Respighi, Toscanini e Petrassi; fu amica del poeta futurista Marinetti, che si sposò nel palazzo di Venezia degli Ivancich, e fu mecenate di giovani artisti. Tramite l’amicizia con Olga Rudge, compagna di Ezra Pound, conobbe il poeta americano che frequentò la famiglia. Successivamente suo nipote Gianfranco Ivancich ne divenne uno dei rari amici e lo frequentò assiduamentenon solo a Venezia, ma anche nelle residenze di San Michele e di Cividale, dove il poeta cercava rifugio ed intimità domestica in sua compagnia.
Infine la frequentazione più nota, quella fra Adriana Ivancich ed Ernest Hemingway, conosciuto durante i suoi spostamenti fra Venezia e il Friuli, storia riportata dalla stessa Adriana nel libro La torre bianca. Il barone Nanuk Franchetti li fece incontrare a fine anni ’40, da quel momento nacque una duratura amicizia; si frequentarono infatti in ogni occasione in cui Hemingway passava per Venezia, ma anche a Parigi e Cuba e intrattennero per anni una fitta corrispondenza. Questi incontri diedero spunto a numerosi malevoli pettegolezzi, alimentati dalla pubblicazione del romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi dove si riconosce chiaramente l’ispirazione ad Adriana per i tratti fisici della protagonista femminile. L’amicizia si estese anche a Gianfranco, fratello di Adriana che lavorò a lungo a Cuba, tanto che lo scrittore gli fece leggere le bozze del romanzo Di là del fiume e tragli alberi prima di stamparla, per avere consigli su come rendere credibile la sua descrizione del Veneto.
E' possibile visitare i resti della villa e il suo parco unicamente nell'ambito della visita guidata gratuita all'itinerario storico-culturale "Le Guerre del '900".